Apre il 2018 con un importante accordo il gruppo Ranocchi, società che opera nell'ambito dei software. Un patto con il gruppo editoriale francese Lefebvre-Giuffrè che dovrebbe far crescere il gruppo, che opera nell'ambito dei servizi informatici per imprese e professionisti, di un ulteriore 20 per cento alla fine dell'anno. «Nel corso del 2017 siamo già cresciuti di un 20% raggiungendo un fatturato di 17 milioni di euro. Per cui a fine anno vogliamo sfondare quota 20 milioni», dice Giovanni Ranocchi, che attraverso la sua holding controlla società a Rimini, Pesaro e Senigallia. Ognuna specializzata in un segmento di mercato: si va dai software aziendali, a quelli dedicati ai commercialisti e ai consulenti del lavoro. Per arrivare infine al campo delle telecomunicazioni e la sicurezza nella base Nethesis di Pesaro. Un gruppo che dà lavoro a circa 150 addetti.
Come nasce questo accordo con il grande gruppo editoriale francese?
«Loro hanno una grande banca dati, acquisita attraverso la Giuffrè che opera nell'ambito dei commercialisti, degli avvocati e dei consulenti del lavoro. Avevano bisogno di una società di software e tra le tante che operano sul mercato in questo settore, alla fine hanno scelto il nostro gruppo».
Quale il primo passo?
«Nei giorni scorsi siamo stati a Milano per illustrare i nostri software e il nostro lavoro ad una convention con tutti gli operatori della Lefebvre-Giuffrè che nell'ambito dell'editoria e delle banche dati sono forse il più grande d'Europa».
Molti scelgono di crescere per linee esterne nell'ambito dell'informatica. Voi?
«No, non è la nostra linea. Noi vogliamo aumentare clienti e fatturati invece per linee interne».
Perché?
«Una filosofia che ci ha sempre caratterizzato, ma anche perché molte persone che arrivano in questo settore pensano di avere l'oro in mano. E tante volte tutto questo non è assolutamente vero».
Uno dei grandi moltiplicatori finanziari di società come la sua, sono il numero dei clienti: lei quanti ne ha?
«Noi siamo intorno ai 30mila e sono spalmati su tutto il territorio nazionale. Ma questi tipi di conti oggi non sono più validi, nel senso che poi non è più vero il principio che attraverso i contatti poi puoi vendere tutto a tutti. Non funziona più così».
La differenza oggi in un settore come come il vostro, e cioè quello dell'informatica, quali elementi la fanno?
«Innanzitutto dalla serietà del lavoro che fai, dalla affidabilità ed anche dalla capacità di offrire i servizi».
Basta?
«No, non basta. Alla fine contano tanto le relazioni e cioè il contatto che tu hai tutti i giorni con i clienti. Quando sento dire ‘ho mandato una mail’, capisco subito che c'è qualcosa che non va. Il contatto deve essere diretto, perché alla fine è quello che paga».
Molte richieste di lavoro?
«Tantissime, tutti i giorni, da ogni parte d'Italia e molte sono anche strampalate. C'è anche molta presunzione tra i giovani laureati. Non capiscono che in tutti gli ambiti, compreso in nostro, il mestiere lo si impara facendo gavetta. L'unica maniera per crescere».
Lei ha già creato e venduto una volta: ci riprova?
«Assolutamente no. Ho venduto una volta (Teamsytem, ndr), ed ho sbagliato perché pensavo ad uno sviluppo industriale e non finanziario. Mi ritengo un imprenditore di provincia e quindi sono abituato a costruire».
Però non ha risposto.
«Certo che c'è la fila fuori. Ma il problema di vendere non lo prendo nemmeno in considerazione».